sabato 31 dicembre 2011

Si chiama allegria

Si chiama Allegria 
questo ridere scomposto di un nonnulla
vagito della luna a illuminare notti 
in rigirare d'ombre e luce d'ambra. 


Tra muri antichi 
un sonnecchiare cheto 
di sillabe di scuri e di ventagli
a scacciare mosche e malinconia.


Da seme in fiore 
l'accennare gaio della vita 
raccontata intorno a un calice di vino 
mentre sfiora il vento fili d'occhi e guance 
a intrecciare ieri con domani 
e oggi ancora rido 
è ancora sera
non è giunto il momento dei saluti.


La piazza assorta assorbe 
anime e parole per farne 
note a margine d'estate. 

Si chiama Allegria 
questo vivere gitano di musica in crescendo
nomadi noi di giorni in riva al caso 
il viso dipinto di poesia leggera 
mentre scorre il fiume dei ricordi.

E' già alba mentre scrivo
d'accenti nuovi che parlano di noi.

Musica d'alba


S'un piccolo muro 

il glicine ride. 

Sull'aspro dei sassi 
scivola il fiume
strappando sussurri 
dagl'irti canneti. 

Fra valli ombreggiate 
da selve graziose
mutevole d'alito 
il vento 
stormisce le fronde.

L'erba bagnata 
da gocce di cielo 
bisbiglia stupita 
d'un guizzo di sole. 

Assorto
sotto il pianto d'un salice
un musico ascolta la vita. 

Del suo fruscìo 
ne farà melodia.
 ·  · 

venerdì 30 dicembre 2011

Amore Lontano

Questo è un "estratto dal titolo", cioè tutte le parole del componimento sono già contenute nel titolo, di esso anagrammi parziali o completi.Provare per credere. Quando una parola già contiene pensiero. Basta avere la pazienza di ascoltarla.
Amore lontano
manto nero
lenta marea.
T'amo
non t'amo
t'anelo
rantolo
tremo.
Mantan l'amore 
remore amare.

Lontana m'areno.

Sc_è_munita


Scende l'angoscia come una biscia che striscia. 
M'alliscia, m'ammoscia, m'affloscia. 
Viscida nelle viscere cresce. 
Non mi lascia, 
m'intristisce, 
m'incupisce! 
Sono un fascio di nervi! 
Ho l'anima a strisce. Ho bisogno d'uscire. 
Apro l'uscio. Piove a scroscio. 
Sono un pesce sott'acqua. 
La mia vita è uno sfascio. Va' tutto al rovescio. 
Voglio inscenar la mia uscita di scena. 

Poi, d'improvviso, mi mesce la vita 
una scintilla di cielo. 
Nasce l'arcobaleno. 
Riesce a farmi rinascere. 
Scivola via questa sciocca apatia. 
Scio'! 
Ero solo inscimmiata di noia. 
Che scema! 

Shalom. 
(Quasi quasi vado a mangiarmi il Sushi)!

Il tiglio e la Luna

Poesi_ola: tra favola e poesia


S' assopì la luna

per sbaglio

fra le foglie d'un tiglio.

La sveglio' il sole.
Lei si levò con uno sbadiglio.
Con meraviglia guardò
il bagliore del giorno.
"Oh"- farfuglio'-
"Ma questo e' tuo figlio!"
Bacio' il sole e si squaglio'.

Se cerchi bene sul tronco del tiglio
v'è ancora un intaglio:
" Qui dormì la Luna."

giovedì 29 dicembre 2011

Sole d'estate





Scivola liEve il tempo d'eState 
Oro d'argenTo ne tesse il cOlore 
L'onda trovA le rocce assoLate 
E' dono salaTo all'alba il sEntore. 

Di perle si Sfoglia la notte Di luna 
Essenza prEziosa sotto lE dita 
Sentire arDente sciogli Sfortuna 
Toccar la sEra di mare vesTita. 

Assorta voLare dietro le Aquile 
Trovar nuvOle di forme asTruse 
Ecco il mio Sorso di estatE fragile.


                                             


Legenda: Blasonetto in triplo acrostico (1-10-22 lettera) sali_scendi



Haiku


LA TELA INTONSA
DIPINGERO' DI VITA
IL NUOVO ANNO

mercoledì 28 dicembre 2011

Il Tempo


foto dal web



A volte, permettere ai ricordi di scivolarti addosso è inevitabile. 
Lo sferragliare del treno, nella campagna marchigiana colorata d'autunno, li scandisce uno a uno, gocce di miele e di fiele miste alla pioggia. 
Gli occhi di Adele seguono gli alberi spogli, che le sfilano rapidi davanti. Le sembra di scorgere una bambina esile e mal vestita, con sulle spalle uno zaino di tela grezza più grande di lei, all'apparenza troppo pesante per una creatura così minuta.
Quante volte ha percorso quelle colline,dolci e fiere e rotonde come il seno acerbo di un adolescente, quasi di corsa, fermandosi solo ogni tanto per controllare di non essere seguita. 
Da casa sua alla grotta c'erano circa dodici chilometri, ma lei ne faceva quasi venti, tagliando per sentieri improbabili e conosciuti solo ai nativi.


Avevano studiato attentamente il tragitto la sera prima, lei e sua madre, considerando le nuove postazioni tedesche, sparpagliatesi in tutta l'area circostante il podere dalla settimana prima. 
Era pericoloso quello che stava facendo, lo sapeva bene. 
Mamma Rosa le aveva spiegato quali erano i rischi, senza mezzi termini o reticenze.
Non erano tempi per essere dolci, nemmeno coi bambini. Erano giorni bui, nei quali l'unica luce a brillare era la speranza di ritornare liberi, e tutti dovevano impegnarsi perché questo accadesse, perché la libertà è il dono più grande per l'uomo e, senza, nemmeno la vita stessa ha senso. 
Questo le aveva spiegato sua madre, con lo sguardo duro e la pena nel cuore. Gli uomini sulla collina dovevano mangiare e la donna era guardata a vista. Non poteva muoversi o avrebbe messo a rischio la vita di tutti, anche dei partigiani che nascondeva nel rifugio, sotto la botola della stalla. 
Alcuni erano bambini loro stessi, la bocca che puzzava ancora di latte e il mitra in mano. 
Persino Giuseppe e Gino, fratelli maggiori di Adele, non erano più che adolescenti e da sei mesi erano alla macchia con il padre. 
Scendevano a valle nottetempo, per sabotare i carriarmato delle truppe tedesche o appendere volantini sovversivi, stampati clandestinamente nel granaio di Mastro Piero. 
Quelle mattine, quando il paese si svegliava e trovava traccia del passaggio degli uomini, si respirava un'atmosfera più densa, quasi tangibile. 
Ogni volta era un'iniezione di coraggio e sprono a continuare a resistere. 
Perciò Adele non aveva paura. 
Stava facendo quello che doveva,e poi, presto, avrebbe rivisto Mario. 
Anche lui era lassù, con gli altri uomini; per quanto volesse bene ai fratelli e al padre, era a lui che pensava per trovare il coraggio di partire da casa.

Era a lui che pensava mentre impastava le pagnotte di pane e le infornava, alle sue mani che quel pane avrebbero spezzato, alle sue labbra che l'avrebbero toccato. 
Sorrise, Adele, e cominciò a cantare tra quei boschi, col cuore allegro e innamorato e l'incoscienza buona e giusta dei suoi tredici anni. 
Gli inni dei partigiani, imparati a memoria durante le notti passate nella grotta, le fluivano gai dall'anima e dalla bocca; le sue lunghe gambe da cerbiatta incedevano, agili e fiere, per i sentieri impervi, senza sentire la stanchezza. 
Lo sguardo che si lanciò di sguincio nel torrente, china per bere, le strappò un mugugno di insoddisfazione. Era bella, ma non lo sapeva 
Le sarebbe piaciuto un vestito nuovo, magari con grandi fiori allegri e la gonna a campana. 
Bagnò la mano nell'acqua fresca e si ravviò i capelli, con fare civettuolo. 
Doveva sbrigarsi. Gli uomini aspettavano impazienti, per la fame e la preoccupazione. 
In sei mesi era andata da loro ogni due giovedì, e non era mai mancata all'appuntamento. 
Le prime ombre cominciarono ad allungarsi sul prato, quasi a spronarla ad incedere più svelta. Sta arrivando sera, parevano dirle, corri bambina, corri. 
Quando Adele arrivò alla grotta, il tramonto era passato da un pezzo. 
Aveva indugiato un attimo, per godersi lo spettacolo sfolgorante di un sole generoso.
Un crepuscolo magico, rosso e viola ad incendiare il cielo e il cuore. 
Suo padre si alzò dalla cassetta di legno e l'abbracciò forte, sollevandola un poco per darle un bacio. 
Pur godendosi il calore di quell'abbraccio, i suoi occhi andarono ad incatenarsi a quelli di Mario. Il ragazzo abbassò lo sguardo ed arrossì.

Lei non era solo Adele, la ragazzina timidamente baciata l'anno prima; era la sorella e la figlia di uomini che rispettava. 
Un anno. Quante cose erano cambiate in un anno. 
Mario che giocava con Adele alla fontana del paese a schizzarsi e rincorrersi, felici, non esisteva più. 
Ora c'era Mario, il partigiano, il fuggitivo, il criminale. 
Mario che aveva già ucciso un uomo, e poi aveva pianto, mentre un compagno più grande lo guardava serio e non cercava né di toccarlo né di consolarlo. Stava lì, semplicemente, senza nulla dire, perché nulla c'era da dire. 
Mario, che ne aveva ucciso un altro, e non aveva pianto più. 
Poco dopo, nella grotta faceva da padrone il silenzio; gli uomini, sette, mangiavano il pane fresco e ne respiravano l'aroma, avidi, cercando di indovinare quali mani l'avessero impastato. Era il profumo delle loro donne che cercavano, il profumo di casa. 
La forma di formaggio e il vino rosso, forte e corposo, passarono di mano in mano fino a che gli stomaci furono sazi e gli occhi appena velati dall'alcool. 
Era arrivato il momento, per Adele, di rispondere alle domande che le venivano poste. 
Chiedevano dei loro cari e le passavano brevi lettere da consegnare alle madri, alle mogli, alle fidanzate. Erano tutti consapevoli che quelle lettere avrebbero potuto significare la condanna a morte di Adele, se durante il viaggio di ritorno le fossero state trovate addosso, e forse anche la loro. 
Ma a questo non era dato pensare. 
Era il momento di combattere, ed ogni guerra, si sa, ha i suoi caduti. Nella grotta scese di nuovo il silenzio. 
Ognuno degli uomini si era appartato, per aprire le buste che la ragazza aveva loro consegnato. 
Tutte contenevano amore, e rabbia e coraggio. 
Non un lamento veniva spedito a quegli uomini. 
Combattevano su due fronti, per la stessa causa, uomini e donne e bambini e l'uno doveva donare all'altro la forza di andare avanti. Non era facile. 
Adele guardò il padre. 
Stava leggendo, ad alta voce, la lettera della moglie ai suoi fratelli. 
Lui alzò gli occhi e le fece un cenno d'intesa. 
In tempi normali, non avrebbe permesso alla sua unica figlia femmina di allontanarsi con un ragazzo. 
Ma quelli non erano tempi normali, e ogni vita era appesa a un filo. 
La notte era fresca, ma non fredda. 
Il buio totale faceva brillare le stelle di magìa. 
La luna era una falce d'argento, in quel momento ad Adele sembrò una culla. 
Culla erano le braccia di Mario che la stringevano forte. 
Tra un bacio e l'altro, sognavano una casa e almeno tre bambini. 
Sognavano un mondo libero e giusto, ed erano pronti a sacrificarsi in prima persona. Persino il loro amore, così pulito, spontaneo, veniva dopo un ideale che li univa più di quei baci clandestini. 
“Vorrei avere una chitarra” le sussurrò piano Mario,”Per cantarti una serenata, qui, sotto le stelle” 
“ Ti amo tanto,sai?” 
“Anche io, anche io ti amo” 
Il padre di Adele fece capolino dalla grotta. Era il segnale del rientro ed i due ragazzi non si fecero attendere. 
Nel rifugio gli uomini erano già stesi sulle coperte, tranne Giuseppe. Le prime due ore di guardia le doveva fare lui.

Mario gli si avvicinò e chiese di cambiare il turno col suo. 
L'uomo sorrise. Avrebbe fatto anche quello successivo Mario e quello dopo ancora, e lui e Adele sarebbero rimasti svegli tutta la notte a chiacchierare fitto fitto. 
Succedeva sempre così e gli uomini accettavano, bonari, questa soluzione. 
L'alba arrivò improvvisa, scontrosa. Il sole aveva deciso di restare a dormire quella mattina. 
Il padre di Adele guardò il cielo, preoccupato. 
Le grandi nubi grigie borbottavano di pioggia, ma forse erano solo i lamenti di un cielo che già sapeva. 
Con lo zaino vuoto la ragazzina si mise in viaggio, in tasca solo le lettere degli uomini e un pezzo di pane e formaggio; le sembrava di essere infinitamente più pesante, perché portava nel cuore il dolore del distacco. 
Il resto è orrore. 
Insieme alla pioggia, tanti anni dopo, il finestrino di un treno che percorre veloce la campagna marchigiana è appannato dalle lacrime di una vecchia signora che piange silente, col viso appoggiato al vetro e lo sguardo perso tra quelle colline, dolci e rotonde e fiere, come il seno acerbo di un'adolescente. 
La pattuglia tedesca sbucò fuori improvvisa dalla macchia. Non fece nemmeno in tempo ad urlare, Adele, il viso colpito dal calcio del fucile di un soldato che poteva avere cinque, o forse sei anni più di lei. 
Quegli occhi, celesti come il cielo di giugno, sono l'ultima cosa che ricorda. 
Quando il dolore è troppo forte l'oblio vince sulla pazzia, donando un velo pietoso da stendere sulla memoria. 
Deve aver ripreso conoscenza a tratti, Adele, quando tutti gli uomini che amava furono uccisi barbaramente come cani rabbiosi, o quando qualche uomo della truppa nemica pensò bene di violentarla, usando la sua carne innocente come sfregio, lezione, esempio. 
Sangue su sangue, versato a una terra che sangue non voleva e mai ne aveva chiesto. 
Sangue d'agnello versato e che mai, mai potrà essere abbastanza ripagato. 
Deve aver ripreso conoscenza a tratti, Adele, ma non ricorda più che il viso della madre al suo capezzale,seduta seria a guardarla, dura, senza nulla dire, perché nulla c'era da dire, chiusa nel silenzio assurdo di un grido.


Una vocetta infantile sposta di posto i pensieri di Adele. 
“ Nonna, nonna, mi racconti la storia di Nonno Partigiano?”

L'anziana donna si asciuga di nascosto le lacrime infingarde, prende sulle ginocchia la bambina, biondissima, con gli occhi celesti come il cielo di giugno. 
Cerca inconsapevolmente in lei una traccia dell'orrore, poi scaccia il pensiero e con amore infinito comincia la storia: 
“ C'era una volta una collina e un ragazzo che cantava della Libertà...” 
Il treno continua la sua corsa, dando un ritmo cadenzato alla fiaba narrata. Tra le colline marchigiane, dolci e fiere e rotonde, come il seno acerbo di un adolescente, l'ombra di una ragazzina dalle lunghe gambe da cerbiatta continua a correre.

Chi sono io?

By Pinina Podestà

Non mi basta il mare 
non è abbastanza il cielo 
sono punto di sutura 
a cucire l'orizzonte. 

Del lupo mannaro 
rubo il canto di fiele 
m'attorciglio alla luna 
fra un sospiro di spire. 

Chi sono io? 
Forse solo un respiro.

Cammino

Cammino
sul ciglio d'un pensiero
strofino ai passi
un marciapiede sporco
remo in rima
al risuonare storto
d'un pianoforte
che da una finestra
uccide Mozart
e ammazzerei il pianista
che mi regala
musica da poco
come se fosse
d'ogni fiamma fuoco.
In rimanere assorto
saluto una ginestra
mentre lemme lemme
torno a casa.
Un vecchio vinile
per render pace a Mozart
del cortile l'ombra
e un calice di rosso.
Azzardo un passo di danza
tra le fughe della strada
e le mie rughe. 

Virgole

Eccomi
a succhiare strilli di luce da un'alba puttana
conto i passi e li gioco coi dadi _truccati_del Fato
cercando assonanze burlone negli sberleffi allo specchio.

Sillabo piano i dove e i quando 
cancello i perchè d'ogni ruga
il tempo scandisce le foglie d'autunno in autunno
io lego gli inverni al contrario e li scrivo.

D'aria le virgole tra un sospiro e un respiro.

sabato 24 dicembre 2011

I colori di ieri


Chiudo la porta s'un giorno fra tanti
piego sorrisi da usare ancora domani
parole consunte nessun segno lasciato
un sogno invecchiato in un vicolo cieco.

Sciolgo dai ricci nodi  e pensieri
 nel cuore un urlo che implode
sul viso le mani
carezza al sapone.

Da scuri serrati
filtra la luna.

Grani di polvere
milioni
vi danzano dentro.

Sul tavolo un foglio in attesa
ci vomito sopra il mio grido
esplode in parole d'inchiostro.

Ripongo i colori di oggi
fra i tanti ieri di me.

Mera_ vegliarmi.

foto dal web
Vorrei svegliarmi una mattina
e sorprendermi degli uomini.
Scendere leggera le scale
senz'incontrare angeli tristi
in fumo d'angoli e ombre di sale.

Non c'è più meraviglia
persino la fenice dorme
tra ceneri senza scintille
e pupille prive di orme.

I muti parlano ai sordi
e i ciechi fissano muti
i sordi negli occhi.

Vorrei svegliarmi una mattina
io lucertola al sole
rospo che beve rugiada
topo fuori dalla sua tana.

Noi abbracciati in un angolo di mondo
dentro un cielo che non sia color del fango.

Stella sorella


C'era una stella striminzita
stanotte

appesa al cielo
con punte adunche
nonostante persino la Luna
fosse impegnata altrove.
L'ho sentita sorella.

Piangi Poeta


Piangi Poeta

percorrendo paradisi primordiali 

prestando piccole parole possenti.

Pitturi pietoso piaghe purulente

poi passi per paradossi pagani
per promettere pace.

Puttane paiono principesse
pennellate per poter perforare 

pregiudizi polverosi.


Passato presente

paura passione
pensieri per poeti
pascoli per penne.

Pulviscolo per pochi.

ASCOLTAMI




Ascoltami
oltre gli scuri di legno
schiusi
al pensiero
di noi.

Guardami
oltre la polvere d'ombre
disegnate sui muri.

Mi vedi?

Senti scricchiolare
i miei passi
su tappeti di foglie?
Paiono morte
ma gridano vita.

Se solo potessi
toccarti
sapresti.

Se solo potessi
baciarti
vivresti.

PARLO DI NOI


Parlo di noi
ora che sono sfiorite le rose.


Rimangono solo le spine.

Parlo di noi

a uno sbadiglio di luna


Sono in letargo le stelle.

Parlo di noi
ora che sei solo un punto
a chiudere il pianto.

Hai mai visto ridere una lacrima?


Parlo di noi come parlare di niente.

Ti uccido.


Così

amorevolmente
mi arrendo al sole.

L'eco di un fiore


Rara rosa d'ottobre. 

Suono sconosciuto 
il ronzio delle api. 



Il silenzio 
il vento 



i passi dell'inverno 



e l'edera 
a raccontare ai muri 
fiabe d'estate. 

Nel giardino in gelo 
appassirà 
vana bellezza 

muore ignara 
rara rosa d'ottobre 
di miele e d'amore. 

Tornerà maggio 
e tra spine un petalo 
profumerà di lei. 

L'eco di un fiore.

Filastrocca a dodici mani

...presto ti accorgerai com'è facile farsi un' inutile software di scienza
e vedrai che confuso problema è adoprare la propria esperienza...
Culodritto, cosa vuoi che ti dica? Solo che costa sempre fatica
e che il vivere è sempre quello, ma è storia antica,
F. Guccini


Questo post nasce per tenere fede ad una solenne promessa fatta a 5 monelli.
Domenica pomeriggio mentre mi distruggevano casa abbiamo immaginato un mondo nuovo e deciso di chiedere aiuto a Babbo Natale.
Vi assicuro che il risultato è tutta farina dei loro desideri ed io ci ho messo ben poco di mio.Ci siamo chiesti cosa ci mancava per essere felici ed ecco qui.
Un'aggiustatina alle rime e qualche parola un pò più complicata, ma il resto l'hanno fatto tutto loro, 5 piccole canaglie dagli 8 ai 2 anni, dei quali sono l'orgogliosa zia!
Il contributo più bello l'ha dato la piccolina. A domanda diretta della serissima sorellina più grande: " E tu, cosa vuoi? Cos'è per te la felicità?" ha risposto altrettanto seria: " 'A fecilitità? Ce 'o in tacca io!" Ed ha tirato fuori una caramella, che si è affrettata ad infilarsi in bocca!
L'unica idea non sviluppata è stata quella di un telegiornale che racconta solo favole.
Ne abbiamo già a sufficienza vi pare?
Il risultato è questo:





Il mondo alla rovescia


Caro Babbo Natale
stanotte ho fatto un sogno
bellissimo e un pò strano,
ho sognato un mondo
che andava piano piano.
Non c'erano automobili
ma solo biciclette,
non c'era neanche un ladro
e nemmeno le manette.
Il fiele era miele
e la luna era il sole,
si buttava neve
per scioglier tutto il sale.
Il mare era sopra
e sotto c'era il cielo,
felice io nuotavo
con il paracadute
e nuvole come cuscini
venivano vendute!
Babbo Natale
tu arrivavi col canotto
e tutti in piena estate
avevano il cappotto.
Un grandissimo triangolo
era la nostra terra,
non c'era mai la guerra
e come per miracolo
nessun effetto serra.
I bimbi avevan tutti
una mamma ed un papà,
nessuno aveva fame,
ognuno in tasca aveva
la sua felicità!

Perciò Babbo Natale
ti faccio una preghiera,
prova a girare il mondo
e fallo questa sera!
Chissà che sotto
un cielo capovolto
diventi molto furbo
persino il peggior stolto
e si capisse infine
che impegnandoci tutti insieme
potremmo aver la pace
e stare sempre bene.
Diglielo tu agli adulti
d'ascoltare noi bambini:
NON SIAMO MICA STUPIDI,
siam solo ancor piccini!